Illuminato, dopo essersi circondata dei Totem-symbols Swatc, Coca-Cola, Fiat 500, ha indossato i mitici jeans, i Levi’s.
Però di carta, anch’essi di porosa-leggera carta colorata, come lo Swatch (da polso, da parete, da città…), come la Fiat 500 (tascabile, grande, più grande, in scala uno ad uno, cioè così com’è), come la bottiglia della Coca-Cola (ancora in grandezza naturale e poi, progressivamente, più e più grande fino a dissettare King Kong, fino a rimpiazzare un monumento…).
Al di là dei “sensi” karthesiani, oltre il recupero “ironico” – ma ripensandoci o poscrivendoci su, ironico fino a che punto? – di trascorse rivoluzioni epocali quali, per esempio, “il simbolo della diffusione mondiale della filosofia esistenziale pop” made in USA, per dirla con Pierre Restany, vale a dire il jeans, al di là di questo, che cosa mi trasmettono tali sforzi, tali avventure, questi incontri mitici svolti, con vago sapore lewiscarrolliano, da Maria Teresa Illuminato?
Il gusto dei giochi possibili, del bricolage del gioco, potrei dire rubando i termini a Francois Jacob. Fors’anche qualche nostalgia (perfino, sospetto, qualche nostalgia di troppo). Ma non basta. Non basta evocare altre realtà che ti aspettano al varco appena oltre i confini della realtà (quella “ordinaria”, come quella succulenta-vecchiotta dei bretoniani, i Surrealisti).
Iluminato, messo al polso il suo Swatch cartaceo, ha poi vestito i mitici jeans di carta e, balzata dentro una grande scatola di cartone manipolato, da lei trasformata in quel gioiello che è stata e resta la inseparabile Fiat 500, ha ripreso la corsa. Il viaggio infinito entro il proprio mondo cartaceo. “Karthartista” o forse “Kartartista”, Illuminato va configurando un mondo5 (dopo un mondo 3 popperiano, il mondo 4 feyerabendiano).
Dunque un’altra realtà, di carta o Kartha, con quel che può significare. E’ vero, scivolo verso doppi sensi inaspettati e non supposti neanche dalla stessa autrice. Capita. Del resto, le opere d’arte si affrancano presto dai loro stessi creatori, da qualsivoglia ambito referenziale per assumere piena autonomia. Una loro vitalità indipendente da qualsiasi servitù mai imposta, desiderata ( da chi? ma da tanti, basta volgere lo sguardo indietro .. oppure traguardare il fragile e mutevole presente, dove sta riaffiorando la psicologia, in tutte le sue patologie: psichiatria, eccetera, per averne ampia conferma).
E’ altresì possibile che compiendo questo mio personale bricolage della mente, io vada arrischiando un allontanamento progressivo dai soggetti, le opere. Calvino e la “sua” leggerezza, Eco e la “sua” pesantezza babelica, una ridda di varianti e covarianti linguistiche, formali, fino a precipitare in una sequenza da video-clip assurdo, fantasmatico: ecco ciò che può capitarti se indossi, se ti immergi nel “mondo” di carte-forme di Illuminato. Può anche capitare un leggerissimo e colorato e rugoso mutamento di tempo e di spazio, trascinante oltre i pur ampi orizzonti epistemologici suscitati da Ernst Mach. E ancora? Ancora un incantamento. E poi? Suvvia, meglio tornare ad aderire alle opere , a questi creati cartacei.
Aderire, già, ma come? Magari indossando, anche noialtri, i briosi jeans, i mitici jeans ricreati parafrasando (attenzione: ciò significa dunque che si è in un altro gioco, ed altri sono i sottintesi, altra la definizione linguistica finale…) o se si preferisce rimodellando quei pantaloni assurti a status symbol praticamente universale e, stando ai tempi della moda, sovratemporale.
Inedita è la materia (carta) e dunque la sensazione che si prove sulla pelle nuda. Sotto il vestito di carta niente, ma un niente meno drammatico e provocante di quella nudità disperata che è seguita ad altra Kartha. E’ inutile: non riesco a sfuggire ai miei fantasmi; sono in rotta di collisione, ora, con questi artefatti di Illuminato. Certo, vi potrei trovare anche una singolare (e leggerissima) risposta alle acute-inquietanti elucubrazioni pubblicate ultimamente da Tomas Maldonado attorno a quel titanico scontro fra “reale” e “virtuale”, che sta assorbendo molte energie, molti sogni. Anzi. I sogni, quei nostri magnifici compagni della notte. Essi, difatti sono davvero assorbiti, dispersi dai nuovi mondi virtuali che si stanno realizzando con la complicità dei computers. Non escludo la possibilità, ora che ci penso, che Maria Teresa Illuminato non affronti, nuovamente manipolando carte di ogni spessore, d’ogni fibra, peso, trasparenza, odore, sapore… i nuovi “soggetti”: il mito dominante degli ultimi decenni, il personal computer.
Ma questa è naturalmente un’altra storia; la quale mi porterebbe anche scontrarmi con i diversificati paesaggi artistici di volta in volta animati dai singoli creati. Ma che in prima istanza mi trascina quasi a dover rifare le bucce alle analisi dei miti d’oggi traslati su … carta, da un originale interprete dell’epoca della destrutturazione appena tramontata, Roland Barthes. Ed in seconda istanza, dovrei fare altri conti. In terza, altri ancora. Insomma dovrei reiniziare da “zero”, a chi piaccia dal “grado zero” il mio stesso ragionamento, riscrivendo dal principio il mio testo (una serie di ipotesi concettuali, di suggestione, di fantasie, suscitate da quei documenti, le opere di Illuminato) ed ovviamnete il susseguente poscritto, questo poscritto. E sono costretto, viceversa, a frenarmi, ad inibire il succedersi, l’incalzare dei nuovi pensieri. Eppure tentassimo di dare seguito al contrario. Eppure tuttavia obbligato (se non altro dai vincoli di spazio impostomi) ad interrompermi recisamente.
Vorrei-potrei rovesciare fuori, tuttavia, con slancio pantagruelico, tutto quello che, per una ragione o per l’altra mi suscita ancora il contatto con questi inediti jeans cartacei. Epperò ho pure una voglia matta d’altro. Allontanarmi sotto la pioggia, in compagnia del mito di Modigliani. E bagnarmi, certo. Infradiciarmi fino al punto di sentirmi quei jeans pesare, fino a che la indicibile leggerezza della carta non si faccia incredibile pesantezza.